I tempi dell’editoria
I tempi dell’editoria

I tempi dell’editoria

Quando parliamo dei tempi legati al mondo dell’editoria, l’aggettivo più comunemente usato è “biblici”. Io non so, se nella lunga tradizione orale che ha preceduto i vari testi poi confluiti nella Bibbia, i narratori abbiano mai pensato che questa definizione avrebbe assunto una valenza negativa ed eterna. Ma, di fatto, i tempi editoriali sono davvero lunghi. Il che, permettetemelo, costituisce un vero paradosso. Lunghi da una parte ma brevissimi dall’altra.

I tempi lunghi.

Se siete autori smaniosi di inviare il vostro testo a una casa editrice per vederlo pubblicato, è meglio che vi rilassiate e armate di santa pazienza. Sia nella micro che nelle grande editoria i tempi di attesa sono davvero estenuanti. Dai tre ai sei mesi per una risposta, poi l’editing e lavorazione del testo che portano via altri mesi, infine la pubblicazione dopo un anno o più. Se va tutto bene e sempre che si venga accettati.

Le cose non cambiano molto con le agenzie letterarie.

I tempi dunque si allungano, le attese si fanno infinite, ci sono libri che aspettano anni di vedere la luce.

Questo, a mio avviso, non sarebbe necessariamente un male, anzi, dovrebbe indicare una cura del prodotto, un’alta qualità finale a tutto vantaggio del lettore. Le cose non vanno esattamente così, almeno non sempre, ma rassegniamoci al fatto inconfutabile che i tempi dell’editoria sono davvero estesi.

Il paradosso, però, si crea nel momento in cui un libro esce sul mercato. Dopo un anno o più di gestazione il prodotto è finalmente finito, curato, spedito nelle librerie e pronto a essere voracemente letto dal popolo dei lettori. Ma qui si consuma l’aspetto grottesco della faccenda.

A quanto corrisponde la vita media di un libro?

I tempi brevi

Qui la cosa diventa davvero interessante. I primi tre mesi di vita di un volume sono i più importanti e decisivi. Ma anche se il libro avesse un buon successo di vendita e critica (questa comunque sempre meno rilevante rispetto alla prima), in ogni caso dopo qualche mese inizia il suo declino. Un libro dopo sei mesi inizia a essere considerato vecchio. Probabilmente non sarà più a scaffale nelle grandi catene, non verrà riordinato da una libreria se non su richiesta esplicita del cliente, non verrà proposto o consigliato.

Intendiamoci bene però: è un discorso generale, ci sono sempre le eccezioni e librai virtuosi. Ma l’andamento generale è questo.

Perché ciò accade?

La prima risposta è perché ci sono troppi libri. Ne vengono pubblicati 78.000 l’anno, il mercato è sempre un fiorire di novità che ogni tre mesi circa viene rinnovato. Quindi, di fatto, si svuotano gli scaffali delle librerie per far posto alle nuove uscite che rimpiazzano senza pietà le vecchie. Un sistema uroborico che si rinnova senza clemenza.

Durante una delle varie lezioni che seguo nell’arco dell’anno per tenermi aggiornato, un importante dirigente di una grande casa editrice italiana ci diceva che le novità sono ben viste dai commerciali che ne vorrebbero sempre di più. Ma, ammise, il sistema è ormai saturo, rischia l’implosione per le troppe nuove uscite.

L’eccesso di novità non risparmia nessuno. Se pensate ai Best seller, beh, anche loro durano pochissimo, circa 4 settimane, quello è loro picco di vendita, poi vengono sostituiti da un altro Best seller. Un pochino meglio va ai Long seller, ma il concetto non cambia di molto.

Nel mercato editoriale odierno un libro di un anno prima quasi non esiste. (Debite eccezioni a parte e classici)

Dopo aver pubblicato quattro libri, parlato con editori, agenti, altri autori e avendo molto amici librai, questo discorso l’ho affrontato spesso. Molti librai sono contenti di avere sempre nuove proposte da offrire ai clienti, altri meno. Eppure alcuni casi editoriali, come quello di un’autrice francese a cui piace “innaffiare”, sono diventati tali grazie al blocco imposto dal lockdown, altrimenti sarebbero stati fagocitati dalle novità che li avrebbero rimpiazzati e il loro successo, con tutta probabilità, non sarebbe mai avvenuto. Proprio la pandemia ha forse dimostrato che un rallentamento sarebbe necessario.

Personalmente non trovo che un libro di un paio di anni prima sia vecchio, anzi, per me i libri hanno una vita molto lunga.

Credo che l’errore di fondo sia quello di considerare i libri solo ed esclusivamente “merce” da vendere. Certo, le case editrici sono imprese, devono vendere e fare cassa, altrimenti falliscono, ma così facendo si perde la misura di un settore che non è uguale agli altri. Un libro, anche se considerato merce, non è un prodotto qualsiasi.

Applicare il sistema industriale all’editoria potrebbe essere un errore a lungo termine. Il concetto di velocità di cui si ciba la nostra società – l’essere i primi sul mercato per essere competitivi – mal si sposa con la lettura di un testo. Non voglio nemmeno parlare della teoria del lettore bendato, ma cercatela se siete curiosi.

Il libro, anche se oggi va per la maggiore una lettura di evasione, è da sempre considerato sinonimo di cultura. Il sapere che viene veicolato attraverso le pagine di carta. È simbolo di studio, di saggezza, di impegno e conoscenza.

Questo sono i libri nell’immaginario collettivo.

Ecco perché bruciare i libri è sempre stato considerato un atto sacrilego, ecco perché i futuri distopici più famosi descritti (guarda caso) nei libri, portano alla distruzione degli stessi e della memoria nonché della cultura. Ecco il motivo per il quale nelle vignette che parlano di cultura è sempre raffigurato un libro.

Un libro è cibo per la mente, pillole per il cervello. Uno dei pochi casi, in questo mondo consumistico, in cui non dovrebbe prevalere solo l’aspetto economico. Anche ma non solo.

Per questo motivo le biblioteche sono tra i luoghi più belli al mondo, dove è custodito un sapere a disposizione di tutti. Ancora oggi ci ricordiamo e piangiamo per la perdita della biblioteca di Alessandria.

La lettura di un libro deve essere qualcosa di calmo e rilassante, il poter godere appieno delle pagine che sfogliamo, un viaggio che ci deve far sognare, insegnare, soddisfare. Non va percorso in fretta, non è una corsa.

Un altro paradosso rispetto alla fabbrica editoriale.

Forse è giunto il momento di rivedere l’impianto dell’editoria: un mondo sovraffollato di libri con la quantità che soppianta la qualità è un qualcosa su cui riflettere. Una presenza vana ed effimera atta riempire vuoti.

Trovare un ragionevole compromesso tra l’impresa e la cultura, lasciando ai libri il giusto tempo.

Foto di Paula Guerreiro – License by Unsplash – Free use

2 commenti

  1. Adelaide J. Pellitteri

    Il mordi e fuggi ha colpito anche l’editoria. Ma un libro, come hai detto tu, non può essere trattato come la moda, un capo d’abbigliamento che va bene per una sola stagione. No, il libro (e lo dimostrano i classici) ha il potere della sopravvivenza, non lo uccidono le guerre, esce indenne dai falò, supera le critiche, sopravvive ai dittatori, perfino alla povertà. È animato da uno spirito indomito capace di rinnovarsi sempre. Ciò accade perché ogni buon libro ha un solo personaggio: l’umanità, con la sua bellezza e i suoi orrori, ma pur sempre umanità. Nella recensione de Il grande Gatsby, dici che nonostante sia prossimo a compiere un secolo la scrittura sembra moderna; questa è l’eternità di un libro, la sua magica sopravvivenza a tutto. Il problema non credo sia solo degli editori, ma anche degli scrittori. Confondiamo l’idea con il pensiero, solo che la prima nasce da un guizzo di intelligenza e se non viene approfondita rimane senza nè capo nè coda, mentre il secondo sta alla base di ogni approfondimento. Un libro è frutto del pensiero e non dell’idea.

    1. Ciao Adelaide. È un ottimo spunto di riflessione il tuo. Un libro frutto del pensiero.
      Indubbiamente anche gli autori hanno la loro parte di responsabilità, è pero compito del mercato porre un freno a una sfrenata corsa alla pubblicazione. Purtroppo, in un libero mercato domanda e offerta sono libere e con tanti autori c’è tanta domanda, così viene loro data l’offerta.
      Siamo anche noi lettori – e autori – che dobbiamo divenire più consapevoli.
      Grazie del tuo contributo.

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